Ricorso  delle  Regione  Veneto,  in  persona  del presidente pro
tempore  della giunta regionale, on. Giancarlo Galan, autorizzato con
delibera   della   giunta   regionale   n. 1121  del  2 maggio  2001,
rappresentata  e difesa, come da mandato a margine del presente atto,
dall'avv.  Romano  Morra  della  direzione  regionale affari legali e
dall'avv.  Fabio  Lorenzoni  del  Foro  di Roma, con domicilio eletto
presso  lo  studio  legale di quest'ultimo in Roma, via del Viminale,
n. 43;
    Contro  il  Presidente  pro  tempore  del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la  quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per  la  dichiarazione  di illeggittimita' costituzionale della legge
29 marzo   2001,  n. 135,  recante  la  "Riforma  della  legislazione
nazionale  del  turismo"  (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie
generale,  n. 92  del 20 aprile 2001) - e segnatamente degli artt. 2,
3, 4, 5, 6, 7 e 9 della stessa - per violazione degli artt. 3, 5, 87,
97,  117,  118,  e 119 Cost., e del principio costituzionale di leale
collaborazione tra Stato e regione.
                           P r e m e s s e
    Come  e'  noto  la  materia del "turismo e industria alberghiera"
essendo compreso nell'elenco delle materie di competenza regionale di
cui  all'art. 117 Cost., e' stata oggetto di una evoluzione normativa
volta  a  realizzare  le  istanze  di  decentramento  previste  dalla
Costituzione.
    Il  trasferimento  delle  funzioni  amministrative  alle  regioni
ordinarie  e'  stato  regolato  dapprima  dal d.P.R. 14 gennaio 1972,
n. 6,  in  seguito  dagli  artt. 56  -  60 del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616,  ed  e'  culminato nel referendum che ha interessato la legge
istitutiva  del  Ministero del turismo e dello spettacolo svoltosi il
18 aprile  1993,  promosso  da numerose Regioni (Trentino-Alto Adige,
Umbria,  Piemonte,  Valle  d'Aosta,  Lombardia,  Marche,  Basilicata,
Toscana,   Emilia-Romagna   e  Veneto)  per  realizzare  un  concreto
decentramento    nella    materia   e   contrastare   le   resistenze
centralistiche.
    In    conseguenza   all'esito   positivo   del   referendum,   il
decreto-legge  28  marzo  1995,  n. 97, convertito in legge 30 maggio
1995,  n. 203,  ha  operato  il  trasferimento alle regioni ordinarie
tutte  le  competenze  e  le  funzioni  amministrative  del soppresso
Ministero,  salvo  le  funzioni  di  indirizzo  e  coordinamento  che
corrispondevano  ad  esigenze  di  carattere  unitario  espressamente
attribuite dall'art. 2 dello stesso decreto-legge all'amministrazione
centrale.
    In  senso  parimenti  conforme  all'attuazione  di  un  effettivo
decentramento, recentemente e' intervenuto anche il d.lgs. n. 112 del
1998 che, agli artt. 43-46, ha disciplinato il riparto delle funzioni
tra Stato e regioni.
    Tale   contesto   normativo,   entro   il  quale  si  era  venuta
realizzando,   seppure   in   modo   imperfetto   e   non  scevro  da
contraddizioni,  una  forma  di effettivo decentramento aderente alla
volonta'  popolare  espressa  nel  referendum  abrogativo svoltosi il
18 aprile  1993, viene oggi messo in discussione dalla legge 29 marzo
2001,  n. 135,  laddove  prevede l'abrogazione della legge quadro sul
turismo  da  attuarsi  mediante  un  mero  decreto del Presidente del
Consiglio   dei   ministri  che  reca  addirittura  norme  suppletive
transitorie (art. 2, comma 7, e art. 11, commi 6, 7 e 8) destinate ad
entrare   automaticamente  in  vigore  ed  a  prevalere  sulle  leggi
regionali.
    Peraltro  e'  anche  da  evidenziare  che  il  contenuto  di tale
decreto,  ben lungi dal prevedere mere disposizioni programmatiche di
indirizzo  come  invece previsto dall'art. 44 d.lgs. n. 112 del 1998,
viene  a configurarsi come una vera e propria fonte normativa atipica
neppure prevista dalla legge n. 400 del 1988, contenente disposizioni
di dettaglio nella materia del turismo.
    Tali   norme   sono   inoltre   destinate  a  prevalere  in  modo
manifestamente  irragionevole  e  secondo  un modello dirigistico, in
contraddizione  con  il  principio  autonomistico sancito dall'art. 5
della   Costituzione,   sulla  legislazione  regionale  vigente  che,
adeguandosi  alle  peculiari  esigenze  del territorio, disciplina il
settore turistico-regionale.
    Ne deriva:
        a) il  grave  sconvolgimento dei rapporti di gerarchia tra le
fonti   e  dei  rapporti  costituzionali  tra  leggi  cornice,  leggi
regionali e atti di indirizzo e coordinamento adottati nella forma di
meri decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;
        b) la  tendenza  a  riportare  a  livello centrale funzioni e
compiti   gia'  trasferiti  alle  regioni  che  vengono  dalla  legge
impugnata  demandati  al  Ministero  dell'industria  del  commercio e
dell'artigianato   -   a   brevissimo   "Ministero   delle  attivita'
produttive"  per  effetto della riforma di cui al decreto legislativo
30 luglio  1999,  n. 300,  -  con il risultato pratico di contraddire
l'esito del referendum abrogativo svoltosi il 18 aprile 1993.

                            D i r i t t o

    1.  -  Violazione  degli  artt. 3,  5,  97, 117, 118, e 119 della
Costituzione  della  legge  n. 135/2001  in relazione alle competenze
spettanti alle regioni nel settore del turismo.
    La  legge impugnata rappresenta un capovolgimento degli obiettivi
sinora  perseguiti dalla legislazione nazionale in materia di turismo
- come ripercorsa nella ricostruzione dell'evoluzione della normativa
in  subjecta  materia  - posto in essere in violazione dell'autonomia
regionale costituzionalmente garantita.
    Il  contenuto della nuova legge, benche' enunci all'art. 1, comma
1 "i principi fondamentali e gli strumenti della politica del turismo
in  attuazione  degli  artt. 117 e 118 della Costituzione ed ai sensi
dell'art.  56  del  decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977,  n. 616,  della  legge  15 marzo  1997,  n. 59  e  del  decreto
legislativo  31 marzo  1998,  n. 112", comporta lo stravolgimento dei
principi della norma da cui pretende trarre fondamento, risolvendosi,
nella sostanza, in un incongruo esercizio - articolato e stringente -
di una potesta' normativa di sicura competenza regionale.
    In  tal  senso, l'appello ai principi di cui si e' detto e' volto
unicamente  a giustificare una diretta riappropriazione di competenze
a   favore   di  organi  dello  Stato  a  detrimento  della  potesta'
legislativa   in   materia   espressamente   devoluta   alle  regioni
dall'art. 117  Cost.  senza  alcuna  considerazione  per il complesso
quadro normativo - includente anche la legislazione regionale vigente
- che attualmente disciplina il settore.
    A  tal  riguardo,  giova  rammentare  che  la  Regione Veneto, in
armonia con i principi dettati dalla legge 17 maggio 1983, n. 217, ha
emanato  la  legge  regionale  16 marzo 1994, n. 13 - successivamente
modificata  ed  integrata  dalle  leggi  regionali  7 settembre 1995,
n. 41,  30 gennaio  1996, n. 6 e 5 agosto 1997, n. 30 - disciplinante
l'organizzazione  turistica  della regione sotto i molteplici profili
tanto sostanziali che procedurali.
    Inoltre,  in attuazione degli artt. 6 e 7 della legge n. 217/1983
citata,  la  medesima  ricorrente  ha  approvato  la  legge regionale
27 giugno  1997, n. 26 recante la "Disciplina e classificazione delle
strutture ricettive alberghiere". Orbene, entrambe le leggi regionali
citate   verrebbero   travolte   dall'attuale   riforma   che  abroga
espressamente  -  all'art. 11,  comma  6  -  la  legge n. 217/1993, a
decorrere  dall'entrata  in  vigore  del  decreto  del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  le cui disposizioni - ai sensi dell'art. 2,
comma  7  -  si  applicano  (prevalendo  automaticamente  sulle leggi
regionali di settore) alle Regioni a statuto ordinario fino alla data
di  entrata  in vigore di ciascuna disciplina regionale di attuazione
delle  linee  guida.  E  con cio' si verifica una diretta imputazione
allo  Stato  della  disciplina  anche  di dettaglio nella materia del
turismo  che,  essendo  ricompresa  tra  le  materie  riservate  alla
potesta'  legislativa  concorrente, costituzionalmente rientra tra le
materie   riservate   alla   sfera   normativa   (art. 117  Cost.)  e
amministrativa (art. 118 Cost.) della regione.
    Per  di  piu',  la Regione Veneto ha approvato la legge regionale
13 aprile 2001, n. 11, recante il "Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi  alle  autonomie  locali  in  attuazione  del  decreto
legislativo  31 marzo  1998,  n. 112"  che  al  Capo  V deI Titolo II
disciplina  proprio  la  materia  del  turismo  e  si  articola sulla
specificazione delle funzioni direttamente esercitate dalla Regione o
trasferite agli enti locali o alle altre autonomie funzionali.
    Ebbene,   a   dimostrazione   della   immediata  lesivita'  delle
previsioni  delle  norme della legge n. 135 del 2001 impugnate, vi e'
da  rilevare  che  il commissario del Governo - con nota del 6 aprile
2001  -  ha  partecipato la deliberazione del Governo - assunta nella
seduta  del 4 aprile 2001 - di "non opporsi all'ulteriore corso della
legge  regionale" medesima, corredando, peraltro, la comunicazione di
inequivocabili prescrizioni in ordine alla necessita' di "uniformare"
le  disposizioni  riguardanti  il settore turistico alla legge de qua
"in  corso  di  pubblicazione", poi effettivamente pubblicata solo il
20 aprile 2001.
    Identica  lesione  delle  competenze legislative e amministrative
regionali  si  riscontra anche per quanto concerne le concessioni del
demanio marittimo.
    Va  rammentato che l'art. 10 della legge 16 marzo 2001, n. 88, ha
sostituito  il  comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge 5 ottobre 1993,
n. 400  -  convertito  con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993,
n. 494  -  innovando  in  materia  di  gestione di beni demaniali. La
regione  Veneto  peraltro,  ha  approvato la legge regionale 6 aprile
2001,   n. 9,   recante   "Norme   per  l'attuazione  delle  funzioni
amministrative  in  materia  di  demanio  marittimo", che delega alle
amministrazioni  comunali  le  funzioni  amministrative  relative  al
rilascio,   rinnovo   e  modificazione  delle  concessioni  demaniali
marittime.
    Orbene,  tutte  le  norme  citate, compresa la recentissima legge
regionale,  sono  destinate  a venir meno per l'adozione di una nuova
normativa  di  dettaglio,  adottata  peraltro  con  mero  decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.  Cio'  e' quanto prevedono
espressamente  l'art. 2,  comma  4,  lett. l),  e l'art. 11, comma 8,
della  legge  29 marzo  2001, n. 135, con norme che hanno addirittura
l'effetto   di  delegificare  la  materia  nonostante  sia  riservata
all'autonomia   costituzionale   delle  Regioni,  quando  invece  per
Costituzione  le  regioni  possono  subire vincoli alla loro potesta'
legislativa  solo  da  norme  di  rango  primario,  e  che solo norme
legislative  possono abrogare o sostituirsi alla legge regionale (sul
punto  si  vedano le sentenze nn. 507 del 2000; 352 del 1998; 250 del
1996;  420  del  1999;  482  e  333  del 1995; 461 e 97 del 1992 e la
recentissima 84 del 2001).
    Infatti,  la  disciplina  di  dettaglio che sara' necessariamente
contenuta  nel  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per
le  previsioni di cui all'art. 2, comma 4, della legge 29 marzo 2001,
n. 135  -  ricondotta in tal modo esclusivamente all'ambito statale -
e'  gia' oggetto di specifiche leggi regionali che disciplinano anche
l'esercizio delle relative funzioni.
    Lo  stesso  d.lgs.  n. 112/1998,  nel  Capo IX, ha riservato allo
Stato  (art.  44)  -  oltre  alle funzioni di monitoraggio delle fasi
attuative,  di  coordinamento intersettoriale e di cofinanziamento di
programmi  regionali  ed  interregionali,  nell'interesse nazionale -
solamente  la "definizione, in accordo con le Regioni, dei principi e
degli  obiettivi  per  la  valorizzazione  e  lo sviluppo del sistema
turistico",  rinviando  ad  un  successivo decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  da  approvarsi  d'intesa con la Conferenza
Stato-regioni, la formalizzazione delle "connesse linee guida".
    In  realta'  la  legge  di cui si tratta non ricalca il legittimo
modello  di  articolazione  delle  fonti  che - in materia oggetto di
potesta'  legislativa  concorrente  -  impone  allo  Stato  solamente
l'adozione  di  norme  di principio tali da garantire al tempo stesso
sia l'autonomia regionale, sia gli interessi unitari non frazionabili
dell'ordinamento.
    Al  contrario,  in  violazione dell'art. 117 della Costituzione e
dei  principi sanciti dagli articoli 2 e 4 della legge 15 marzo 1997,
n. 59,  attuati  dal  decreto legislativo n. 112/1998 e dalla Regione
Veneto  con  la  ricordata  legge  regionale  n. 11/2001, propone uno
schema  dirigista  che  contraddice  i  principi di "differenziazione
nell'allocazione delle funzioni" (art. 4 della legge n. 59/1997) e di
adeguatezza      in     relazione     all'idoneita'     organizzativa
dell'amministrazione  ricevente,  e del principio enunciato dall'art.
27, comma 3, del decreto legislativo n. 300/1999 che - nel trasferire
al  neo  istituito  Ministero  delle  attivita' produttive funzioni e
risorse  dei  dicasteri in esso accorpati ha esplicitamente "fatte in
ogni caso salve, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1, comma 2, e
3,  comma  1,  lettere  a) e b), della legge 15 marzo 1997, n. 59, le
funzioni  conferite  dalla  vigente legislazione alle regioni ed agli
enti locali e alle autonomie funzionali".
    Pertanto appare evidente la violazione dell'assunto gia' espresso
da  codesta  ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n. 408/1998 laddove - in
relazione  ai  limiti costituzionali vigenti in tema di decentramento
della  potesta'  normativa  come  delineato  dalla legge n. 59/1997 -
ribadisce  la  spettanza  alle  regioni  della  potesta'  legislativa
propria  quando si tratti di disciplina riconducibile alle materie di
cui  all'art. 117 della Costituzione ed afferma che "attribuzioni che
dipendano da scelte del legislatore ordinario restano per loro natura
retrattabili,   nei   limiti   in   cui   cio'  non  comporti,  anche
indirettamente, una lesione dello status garantito alle regioni dalle
norme costituzionali".
    Invece,  la  legge in esame - che dovrebbe individuare i principi
di  indirizzo  tipizzanti  la  normativa "cornice" della politica del
turismo  -  si  sostanzia  nell'apodittica  ed illegittima avocazione
all'ambito statale di una serie di disposizioni - elencate all'art. 2
-  rappresentanti  uno stringente decalogo di funzioni in ordine alle
quali  le  regioni  conservano mera potesta' attuativa, in violazione
degli  articoli  5,  97, 117 e 118 della Costituzione, che sanciscono
l'intangibitita'  delle sfere di attribuzioni garantite alle regioni,
nonche'  del  principio  di  leale  cooperazione tra Stato e Regioni,
ripetutamente   affermato  da  codesta  ecc.ma  Corte  in  molteplici
decisioni  (si  vedano  le  sentenze  numeri 49,  482 e 483 del 1991;
numeri 19 e 242 del 1997 e la recentissima 110 del 2001), nelle quali
si  ribadisce  come  detto  principio  postuli la ricerca di forme di
collaborazione  la'  dove  si  intersechino  competenze  ed interessi
afferenti  a diversi livelli di governo, imponendo un contemperamento
dei rispettivi interessi (sentenza n. 341 del 1996).
    Ne',  al  riguardo, puo' ragionevolmente ritenersi che la mancata
attuazione  -  da  parte  di  alcune  Regioni  -  della  legge quadro
n. 217/1983, modificata nel 1995 a seguito del referendum soppressivo
del  Ministero  del turismo abbia determinato la sopravvenienza di un
interesse  nazionale  in  materia,  fondante  la  riformulazione  dei
cardini  della  legislazione,  a  discapito  delle  Regioni che hanno
esercitato le potesta' normative di propria competenza.
    Parimenti   illegittima   appare  quindi  anche  la  riconduzione
all'apparato   amministrativo   statale  della  materia  del  turismo
all'interno    del   Ministero   dell'industria   del   commercio   e
dell'artigianato (a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive"
per  effetto  della  riforma  di cui al decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 300).
    2.  -  Violazione  degli  articoli  3, 5, 97, 117 118 e 119 della
Costituzione della legge n. 135/2000 per 1a previsione che la materia
del  turismo  sia  disciplinata, con disposizioni anche di dettaglio,
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
    L'art.  2  della legge in esame costituisce il fulcro dell'intero
provvedimento.   La   formulazione   della   disposizione,  peraltro,
concentra  una  serie  di  disposizioni  incompatibili  con l'assetto
costituzionale e non raccordate con altre norme dell'ordinamento.
    Innanzitutto  -  come  gia'  osservato - il comma 4 dell'articolo
rinvia  ad  un  successivo  decreto  del Presidente del Consiglio dei
ministri  -  da adattarsi d'intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti  tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sentite le
associazioni   di   categoria  degli  operatori  del  settore  e  dei
consumatori  -  la definizione dei principi e degli obiettivi "per la
valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico".
    Tale   comma,   tuttavia,  nella  sostanza  detta  una  serie  di
disposizioni specifiche destinate a prefigurare in modo vincolante il
contenuto del decreto emanando, che il comma 6 colloca addirittura in
una  posizione  sovraordinata  alla legislazione regionale, e si pone
come  strumento  di  normazione  e  regolamentazione  puntuale  della
materia,  senza  alcun  margine per la necessaria concertazione nella
cui  sede  istituzionale  -  per  espresso  disposto  normativo  - si
sarebbero dovute stabilire le linee guida della riforma.
    Ad  avviso  della ricorrente, l'elencazione - riportata nel comma
de  quo  - dei punti qualificanti il futuro decreto, per la minuziosa
previsione  e la rigidita' delle prescrizioni imposte, rappresenta un
atto  normativo  compiuto  e  di  dettaglio  che soggiace ad autonome
valutazioni  in  ordine alla compatibilita' del testo con i parametri
costituzionali vigenti.
    Di  particolare rilevanza appaiono, al riguardo, tutti i numerosi
riferimenti  alla  determinazione cogente ed uniforme di una serie di
criteri,  requisiti,  standards e modalita' che rimodellano tutti gli
ambiti  nei  quali  si  articola  il  complesso  settore del turismo,
sottraendoli  alla potesta' regionale in violazione degli articoli 5,
97, 117 e 118 della Costituzione.
    Imporre  unicita'  di  criteri  e  modalita'  di  esercizio delle
imprese  turistiche  "su  tutto  il  territorio nazionale" qualora si
ravvisi  "la necessita' di standard(s) omogenei ed uniformi" (art. 2,
comma  4,  lettera  c),  della  legge)  non  e' affatto riconducibile
all'esercizio di quella funzione di "indirizzo e coordinamento" delle
attivita'   delle  regioni  ammissibile  soltanto  per  "esigenze  di
carattere   unitario,   anche  con  riferimento  agli  obiettivi  del
programma   economico  nazionale  ed  agli  impegni  derivanti  dagli
obblighi internazionali".
    Ne'   l'indubitabile  ruolo  di  settore  strategico  attualmente
assunto  dal  turismo,  puo'  legittimare  la  negazione dei precetti
fondamentali che assegnano alle regioni il compito di disciplinare la
materia.
    In  tal  senso,  la norma de qua nel circoscrivere direttamente e
dirigisticamente   i   contenuti  normativi  che  sono  propri  della
legislazione  regionale, sottrae a quest'ultima, ed attrae nell'alveo
della   legislazione  statale,  tutte  le  determinazioni  connotanti
l'esercizio  della  relativa  funzione  e  cioe'  la  valutazione dei
criteri  e  delle  modalita'  attuative  oggetto  di  normazione,  in
relazione  a  tutte le circostanze che differenziano, qualificandolo,
l'ambito  territoriale  regionale  e  che  non  possono snaturarsi in
un'incongrua omogeneizzazione.
    Anche nei lavori parlamentari si trova conferma che la riforma si
fondi  su  prescrizioni  incompatibili  con  l'assetto costituzionale
vigente. In particolare lo confermano il parere negativo espresso dal
comitato  per  la  legislazione  ed i pareri negativi formulati dalla
commissione parlamentare per le questioni regionali (nella seduta del
17 gennaio  2001)  e  dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e
delle province autonome (nella riunione del 1o febbraio 2001).
    Analoghe  considerazioni  valgono  anche  relativamente  ad altre
disposizioni  dell'elenco  riportato  al comma 4 dell'art. 2, e cioe'
alla  definizione  di  standards  minimi  delle  strutture  ricettive
(lettera  d);  di  standards  minimi  di qualita' dei servizi offerti
delle  imprese  turistiche (lettera e)); dei livelli minimi e massimi
di  eventuali  depositi cauzionali a carico delle agenzie di viaggio,
delle "organizzazioni" e delle "associazioni" che "svolgono attivita'
similare" (lettera f)).
    Particolare    attenzione,    invece,    meritano    le   residue
determinazioni  del comma in esame, che incidono in ambiti ancor piu'
specifici, tra i quali spicca per l'evidente lesivita' dell'autonomia
regionale   costituzionalmente   garantita   la   prefigurazione   di
"requisiti  e modalita' di esercizio su tutto il territorio nazionale
delle  professioni  turistiche"  - come definite all'art. 7, comma 5,
della  legge - giustificata in base a generiche esigenze di stabilire
"profili  omogenei  ed  uniformi"  (lettera  g).  Tale  formulazione,
infatti,  come la precedente di cui alla lettera c), non individua il
soggetto  istituzionale al quale sarebbe rimessa la valutazione circa
la necessita' di uniformare detti canoni e, tuttavia, simili scelte -
secondo  lo  schema  normativo  adottato  -  sarebbero  sottratte  al
legislatore  regionale,  relegato  al  ruolo  di mero esecutore della
normativa di dettaglio detta dal decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri.  Inoltre,  proprio  in  relazione  al  complesso delle
attivita' ricomprese nella nozione di "professione turistica" fornita
dall'art.  7,  comma  5,  della  legge  si  rileva  una irragionevole
contraddittorieta'  determinata  dall'incoerenza  del  testo. Infatti
mentre  il comma 6 dello stesso articolo prevede che siano le regioni
a  rilasciare  l'autorizzazione all'esercizio di dette attivita', con
validita'  "su  tutto  il  territorio nazionale", viene invece "fatta
eccezione  per  le le guide". Conseguentemente si giunge al risultato
che  i  requisiti  e  le  modalita' stabiliti secondo quanto previsto
dall'art.  2,  comma  4,  lettera g), dovrebbero trovare applicazione
anche  con riferimento all'esercizio di professioni (le guide) per le
quali   e'  espressamente  prevista  un'autorizzazione  di  validita'
esclusivamente regionale, secondo uno schema normativo manifestamente
irragionevole  ed  in  violazione dei principi costituzionali sanciti
dagli articoli 3, 97 e 117 Cost.
    Correlativamente,  giusta  quanto stabilito dall'art. 9, comma 6,
della  legge  in  esame,  anche tutte le determinazioni concernenti i
procedimenti    amministrativi   per   il   rilascio   di   "licenze,
autorizzazioni e nulla osta riguardanti le attivita' e le professioni
turistiche"  (...)  "si uniformano alle procedure previste in materia
di   autorizzazione  per  le  altre  attivita'  produttive,  se  piu'
favorevoli".  E la disposizione comporta l'estensione indifferenziata
alle  imprese  turistiche della disciplina "recata dagli articoli 23,
24   e   25   del  decreto  legislativo  n. 112/1998,  relativa  agli
insediamenti produttivi.
    L'obbligo, fatto alle regioni di dare attuazione al comma de quo,
conferma   la  natura  immediatamente  cogente  e  di  dettaglio  del
contenuto  normativo  della  riforma, implica oltre alla compressione
della  potesta'  normativa  regionale  in  materia  turistica,  anche
l'effetto   sostanziale   della   generalizzata   ed   indiscriminata
assimilazione   della   species  turismo  al  genus  delle  attivita'
produttive.  Ma,  in  realta',  la  legge in esame non presenta alcun
raccordo  neppure  con  le disposizioni relative alle semplificazioni
delle  procedure  introdotte dall'art. 20, della legge 15 marzo 1997,
n. 59 - come successivamente modificato prima dall'art. 2 della legge
8 marzo 1999, n. 50, e poi dalla legge 24 novembre 2000, n. 340 - che
ha  previsto  l'adozione  di  appositi regolamenti delegificati anche
relativamente  al rilascio di autorizzazioni per lo svolgimento - tra
l'altro   -  di  esercizi  ed  attivita'  imprenditoriali  includenti
procedimenti inerenti il settore turistico.
    Ancor piu' problematica appare, poi, la questione sollevata dalla
definizione  "dei  criteri direttivi di gestione dei beni demaniali e
delle  loro  pertinenze concessi per attivita' turistico-ricreative",
con tutte le implicazioni, connesse alla "determinazione, riscossione
e  ripartizione dei relativi canoni, nonche' di durata delle relative
concessioni",  con  lo  scopo  dichiarato  di  "garantire  termini  e
condizioni  idonei  per  l'esercizio  e  lo  sviluppo delle attivita'
imprenditoriali",  a  gettito  erariale  invariato. Anche in tal caso
avuta  considerazione  del  complesso  quadro  normativo specifico di
riferimento  menzionato,  l'effetto  della disposizione si risolve in
un'esplicita   quanto  ingiustificata  retrazione  di  competenze  ed
attribuzioni di spettanza regionale gia' esercitate dalla ricorrente,
in ordine alle quali l'emanazione del successivo decreto riconduce in
un  alveo statale realta' sinora disciplinate dalla regione Veneto in
ragione  delle  innegabili  peculiarita'  connotanti  ciascun  ambito
territoriale proprio.
    In   tale   senso,   l'opzione  normativa  espressa  dalla  legge
impugnata,  in  assenza di qualsiasi riferimento specifico e puntuale
alla  effettiva  necessita' di provvedere nei termini indicati, viola
il principio costituzionale di coerenza e ragionevolezza delle scelte
legislative sancito dall' art. 3 della Costituzione in relazione alle
competenze  regionali  garantite  dagli  artt. 5,  117  e  118  della
medesima Carta fondamentale.
    Parimenti  immediatamente  lesiva  si  configura  la volizione di
stabilire   "criteri  unjformi  per  l'espletamento  degli  esami  di
abilitazione  all'esercizio  delle  professioni turistiche", prevista
alla  lettera  n)  del comma in esame, nella parte in cui pretende di
disciplinare  con  modalita'  indifferenziate i meccanismi abilitanti
all'esercizio  delle professioni de quibus, quando la definizione dei
moduli  selettivi  di  cui  si  tratta  non  puo' essere avulsa dalla
restante  normativa  concernente  tale settore, di cui costituisce un
presupposto essenziale e condizionante.
    In  linea  di fatto e di diritto, peraltro, tutte le disposizioni
di  qui  al  comma  4  dell'art. 2, come evidenziato dall'analisi che
precede, hanno il risultato di modificare le previsioni relative alla
definizione delle linee guida per la valorizzazione e lo sviluppo del
sistema turistico gia' stabilite dall'art. 44 del decreto legislativo
n. 112/1998  in  violazione  dell'art. 117 della Costituzione poiche'
non  esprimono  -  per  il  loro  contenuto  e la loro formulazione -
principi  fondamentali,  bensi'  prefigurano l'emanazione di norme di
dettaglio   che  non  possono  sovrapporsi,  prevalendo  sulle  leggi
regionali.   Sul  punto,  si  richiamano  gli  assunti  ripetutamente
affermati  da  codesta ecc.ma Corte in ordine ai connotati tipizzanti
la  normazione  di principio in rapporto alla successiva legislazione
regionale,  soprattutto  per  quanto attiene al rigoroso rispetto dei
reciproci   ambiti   di   competenza   in   relazione   al  parametro
costituzionale  invocato  (v.  le  sentenze nn. 219 del 1984; 192 del
1987; 85 del 1990; 349 del 1991).
    Ma il dato piu' difficilmente collocabile nel quadro dei rapporti
tra  fonti normative statali e regionali delineato dalla Costituzione
e'  rappresentato proprio dal rinvio ad un decreto del Presidente del
Consiglio  deiministri  per  la  formalizzazione di tutti i contenuti
della  riforma  secondo  le  disposizioni di dettaglio indicate. Tale
previsione  si  traduce  nell'utilizzo  di  atti  amministrativi  con
funzione  regolamentare  sostitutiva  e  abrogatrice  di disposizioni
legislative   regionali.  Nella  sostanza,  si  assegna  ad  un  atto
provvedimentale   che  dovrebbe  fondarsi  sui  presupposti  e  sulle
circostanze tassativamente previste dall'art. 5 della legge 23 agosto
1988, n. 400, la valenza di uno strumento normativo compiuto di rango
sovraordinato  alla  legislazione  regionale.  E' del tutto evidente,
sulla  scorta  di  quanto sin qui sostenuto, come la regolamentazione
introdotta  dalla  legge  impugnata  secondo  la  scansione normativa
rilevata    -    gia'   di   per   se'   lesiva   delle   prerogative
costituzionalmente garantite nella materia de quasubisca un ulteriore
e  decisivo  vulnus.  Infatti,  il  decreto di cui si tratta non pare
potersi  ricondurre  alla  tipologia  espressa  dall'art. 5, comma 2,
della  legge  da  ultimo  citata, ne' - pur presentandone i contenuti
tipici   -  e'  annoverabile  tra  i  regolamenti,  come  individuati
dall'art. 17  della  medesima  legge,  che  per  tali fonti normative
prescrive  l'adozione  di un decreto del Presidente della Repubblica.
La  disposizione di cui si tratta, infatti, lungi dal porre indirizzi
ed obiettivi alle potesta' regionali, come sarebbe proprio degli atti
di  indirizzo  e  coordinamento,  istituirebbe  un'anomala competenza
dell'Esecutivo  ad  adottare  norme  regolamentari  per  l'attuazione
dell'intera  legge,  e,  come  tale, contrasta appunto con l'art. 17,
primo  comma,  lettera  b), della legge n. 400/1988, laddove preclude
regolamenti  d'attuazione  delle  leggi  nelle materie spettanti alle
potesta'  regionali  e  vincola  i  regolamenti alle regole formali e
procedurali  per  essi previsti, in ossequio al disposto dell'art. 87
Cost.  Al  riguardo,  codesta  ecc.ma Corte ha gia' affermato che "la
funzione   governativa   di  indirizzo  e  coordinamento  costituisce
l'esercizio  di  una competenza particolare che si distingue da altri
poteri  governativi di direzione o di direttiva - e a maggior ragione
di  normazione  -  per  avere contenuto e caratteri formali del tutto
peculiari"  (v.  le  sentenze nn. 389 del 1989, 345 del 1990 e 49 del
1991).
    I  contenuti  del futuro decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri  prefigurati  dalle norme impugnate si traducono in norme di
dettaglio  come  si  ricava dall'efficacia sostitutiva che il comma 7
dell'art. 2  della  legge impugnata attribuisce alle disposizioni del
decreto  emanando  a  decorrere  dall'inutile  scadenza  del  termine
indicato  dal  comma 6 dello stesso articolo (nove mesi dalla data di
emanazione),  assegnato  a  ciascuna  regione per dare "attuazione ai
principi  ed  agli  obiettivi  statibiliti  dalla  presente  legge  e
contenuti  nel decreto di cui al medesimo comma 4". Tale formulazione
evidenzia  inequivocabilmente  l'incostituzionalita' della previsione
che  assegna  carattere  cedevole  alle  leggi  regionali e la natura
immediatamente   cogente   delle  norme  contenute  nel  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri nonche' la collocazione del
provvedimento  attuativo  (rectius  esecutivo)  di  cui al successivo
decreto  in  una  posizione  assolutamente  antinomica e confliggente
tanto  con  i  precetti  sanciti  dagli  artt. 5, 97, 117 e 118 della
Costituzione, quanto con il principio di leale cooperazione tra Stato
e  Regioni  e  con  la  ratio  dell'art. 44  del  decreto legislativo
n. 112/1998,  nonche'  con tutte le disposizioni supra richiamate che
disciplinano presupposti, ambiti e procedure di delegificazione.
    4.  -  Violazione  degli  artt. 3,  5,  97,  117, 118 e 119 della
Costituzione  e  del  principio  di  leale collaborazione tra Stato e
Regioni. L'art. 3 della legge istituisce la "Conferenza nazionale del
turismo", indetta con cadenza biennale dalla Presidenza del Consiglio
dei   ministri  ed  organizzata  dal  Ministero  dell'industria,  del
commercio   e   dell'artigianato,   con   il  compito  di  "esprimere
orientamenti  per  la  definizione  e gli aggiornamenti del documento
contenente  le  linee  guida".  L'inclusione, nel novero dei numerosi
soggetti  istituzionali chiamati a far parte del nuovo organismo, dei
rappresentanti  della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province  autonome  ribadisce  ed  accentua  il ruolo assolutamente e
dichiaratamente  marginale  assegnato alle regioni, alle quali, oltre
ad  essere  definitivamente  sottratta  ogni  potesta' legislativa in
materia  come sopra evidenziato, viene anche formalmente riconosciuta
una  funzione  meramente  esecutiva  in  una materia che invece e' di
sicura competenza regionale.
    Si  ripropongono,  pertanto,  in  relazione  alla disposizione in
esame,  le  censure  di  legittimita'  gia'  prospettate  a margine e
dell'art. 2  della  legge  impugnata, e, in particolare, il contrasto
con gli artt. 117 e 118 Cost.
    In  relazione  all'art. 4  della legge, va doverosamente premesso
come  la ricorrente non possa che essere favorevole all'approntamento
di una "Carta dei diritti del turista", quale strumento di tutela del
fruitore  dei  servizi  turistico-ricettivi. Tuttavia, la definizione
degli  elementi  fondamentali  connotanti  tale  documento essenziale
viene   assegnata   al  Ministero  dell'industria,  del  commercio  e
dell'artigianato  ed esclude dal concerto delle consultazioni proprio
le regioni, benche' tra le informazioni destinate a implementare tale
Carta  rientrino  anche quelle concernenti "gli usi e le consuetudini
praticati  a  livello  locale  e  ogni  altra  informazione che abbia
attinenza   con   la   valorizzazione,   la   qualificazione   e   la
riconoscibilita' del sistema turistico".
    Viene,  dunque,  radicalmente  negato  anche il ruolo attivamente
propositivo  delle  regioni  che invece sono i soggetti istituzionali
piu'  idonei  per  contribuire  ad una effettiva individuazione delle
molteplici   realta'  territoriali  esistenti,  funzionale  a  quello
sviluppo  del  settore,  di  cui  la  redazione  della Carta dovrebbe
rappresentare  un  momento  qualificante.  In realta' la disposizione
sembra ignorare la complessita' del sistema sul quale incide, ledendo
la   funzione   conoscitiva  e  propulsiva  delle  regioni,  in  cio'
reiterando  quella  violazione  del principio di leale collaborazione
fra Stato e regioni piu' volte invocato.
    L'art. 5  della  legge  nel  definire  i sistemi turistici locali
assegna  la  funzione  di  riconoscimento  formale degli stessi ad un
provvedimento regionale nel contesto delle funzioni di programmazione
proprie  dell'ente.  Tuttavia, per un verso, dette funzioni risultano
patentemente  affievolite  per  effetto della normazione di dettaglio
espressa dall'intero testo della legge impugnata; per altro verso, il
riferimento  -  contenuto al comma 3 dell'articolode quo - al "titolo
II,  capo  III,  del  decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 112",
riguardante il settore industria, appare paradigmatico della tendenza
a  ricondurre  la  materia  in  ambito  statale,  secondo  uno schema
normativo  che  consente  al  Ministero  dell'industria, commercio ed
artigianato - a brevissimo "Ministero delle attivita' produttive" per
effetto  della  riforma di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999,
n. 300  -  di appropriarsi di competenze e funzioni sinora esercitate
dalle   regioni.   In   altri   termini,  la  ricorrente  reputa  che
l'assimilazione   dei  sistemi  turistici  locali  agli  insediamenti
produttivi  tipici,  implichi  necessariamente  l'assorbimento  della
materia   "turismo"   nell'alveo  del  settore  "industria"  e  fondi
normativamente  la compressione delle potesta' legislative regionali,
non  trattandosi piu' - ne' formalmente, ne' contenutisticamente - di
materia   di  sicura  attribuzione  regionale,  in  violazione  degli
artt. 117 e 118 Cost.
    La  legge  impugnata,  quindi,  attraverso  tale  meccanismo, pur
appartenendo    al   novero   delle   fonti   di   rango   ordinario,
surrettiziamente  determina  la  modifica  delle norme costituzionali
invocate,    ridisegnando   -   nel   contempo   -   l'organizzazione
amministrativa   statale   in   modo   da   assegnare   al  Ministero
dell'industria,  commercio  ed  artigianato - a brevissimo "Ministero
delle  attivita'  produttive"  per  effetto  della  riforma di cui al
decreto  legislativo  30 luglio  1999,  n. 300  -  le  funzioni  gia'
esercitate  dal  soppresso  Ministero del turismo. Inoltre il comma 5
dell'articolo  in esame prevede che gli interventi di cofinanziamento
a  favore  dei  sistemi turistici locali - di spettanza del Ministero
dell'industria,   commercio   ed   artigianato   -   rientrino  nelle
disponibilita'  assegnate  al  Fondo  unico  per  gli  incentivi alle
imprese.
    L'art. 6  della  legge  istituisce  inoltre  un apposito fondo di
cofinanziamento  dell'offerta  turistica  e stabilisce i criteri e le
modalita'  di  ripartizione delle risorse ed il comma 2 dell'articolo
prevede  che  la  determinazione  di  tali  parametri  sia  preceduta
dall'intesa in sede di Conferenza unificata. Tuttavia, l'assegnazione
dei  fondi  di  cui  si  tratta accede necessariamente al progetto di
riforma  della materia disegnato dalla legge impugnata, di tal che il
riferimento  alla  concertazione  normativamente  imposta appare piu'
formale che sostanziale, essendo gia' stato ampiamente predefinito ed
uniformato  l'ambito  degli  interventi  concretamente  esercitabili.
Infatti,   l'attivita'   di   programmazione   della  regione,  quale
espressione  della  propria  autonomia  in materia, risulta confinata
alla  facolta'  di  predisporre  piani  di  intervento - che dovranno
essere  coperti  con  fondi propri in percentuale non inferiore al 50
per  cento della spesa prevista - "finalizzati al miglioramento della
qualita'  dell'offerta  turistica,  ivi  compresa  la promozione e lo
sviluppo  dei sistemi turistici locali di cui all'art. 5", quale atto
prodromico  all'emanazione  di  bandi annuali di concorso predisposti
dal  Ministero  di  riferimento  per  accedere  all'assegnazione  del
restante 30 percento delle risorse.
    In  sostanza,  se ne deduce che il margine concretamente lasciato
alle   regioni   concerne   l'esercizio   di  funzioni  assolutamente
residuali, sia in relazione all'ambito dell'intervento - circoscritto
ai  sistemi turistici locali e conforme ai canoni dettati dall'art. 5
-,   sia  con  riferimento  alle  risorse  economiche  effettivamente
disponibili.  La  disposizione  in esame conferma il ruolo secondario
residuato   alle  regioni,  quale  effetto  dell'imposizione  di  una
normativa di dettaglio uniforme emanata a livello centrale che ignora
le  peculiarita'  territoriali,  in  contrasto anche con il principio
espresso dall'art. 119 Cost..
    Infine,  l'art. 11  della  legge  impugnata,  con  il  menzionato
intervento  abrogativo  posto  in  essere,  puntualizza la prevalenza
sulle leggi regionali della legge impugnata che demanda la disciplina
della  materia a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
rendendo   immediatamente   applicabili  e  cogenti  le  disposizioni
normative   previste,   in  radicale  contrasto  con  le  prerogative
garantite alle regioni dalla Costituzione.